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Il signor Bovary su Storie per un piccolo pianeta

Luca Terlizzi recensisce Il signor Bovary di Paolo Zardi (collana Ottantamila) su Storie per un piccolo pianeta.

Qui.

Di seguito un estratto.

zardi_copertina-192x300-4 [] Differenze sociali. Giochi di potere. Smanie di possesso. Un uomo dalla vita impeccabile, con moglie e figli e un lavoro in banca, vuole per una volta qualcosa di proibito. Forse è una crisi di mezz’età, come quella di Lester (Kevin Spacey) in American Beauty, forse è un’insoddisfazione bruciante e romantica come quella di Madame Bovary, da cui il nostro anonimo protagonista prende in prestito il nome pur di trovarsi un’identità.
Forse semplicemente il gusto, lo sfizio, la soddisfazione di dire “ho un’amante”, di sottomettere una persona che arriva a fatica alla fine del mese e di lasciarsi a propria volta sottomettere da lei, di prestarle soldi che non saranno mai restituiti, di immortalare le proprie prodezze sessuali in foto e video sempre più spinti. Quello sfizio che immancabilmente porta a scandali, sextape, leak, Tiziana Cantone. Ecco, il protagonista di questo racconto non è solo Madame Bovary e Lester di American Beauty, ma anche Tiziana Cantone, come a sottolineare il labile confine tra narrativa e cronaca, finzione e realtà.
Quando si è in una posizione di potere, come ci insegna Lars Von Trier in Dogville, si diventa animali, si cerca di realizzare tutti i propri desideri più elementari, più sporchi, più segreti. Si approfitta. E come in Dogville, la situazione si ribalta radicalmente. La vittima si mette al comando. Tutto il potere del protagonista, sfoggiato con gesta erotiche, foto e filmini gli si rivolterà contro, sarà usato contro di lui come in Sesso, bugie e videotape. Quella del signor Bovary non è la perversione romantica e ammiccante, ad uso e consumo delle masse, di Cinquanta sfumature di grigio. Nessuna redenzione è possibile in una storia vera quanto un articolo di cronaca locale. E in una storia così, che sia American Beauty o Madame Bovary, Dogville o il caso Cantone, c’è un solo, possibile epilogo.
Questo racconto sarebbe certamente piaciuto agli antichi Greci. È una tragedia che scaturisce direttamente dal pathos, insoddisfazione latente del protagonista, cresce a dismisura come la sua hybris, presunzione, mania di grandezza, per poi giungere alla nemesis, la punizione e alla katastrofé… la catastrofe. Come nelle tragedie greche, abbiamo un prologo, un narratore esterno e onnisciente, che è in grado di raccontarci ogni singolo dettaglio di tutta la vicenda, e siamo coinvolti dal dramma dell’eroe tragico, lo sentiamo vicino a noi e, nonostante tutto, facciamo il tifo per lui anche se forse non se lo meriterebbe.
E l’Italia di oggi, quest’Italia a due velocità che spera in una ripresa che in pochi vedono mentre si riempie di profughi che tutti vedono, forse è proprio lo scenario più adatto per gli eroi tragici. Paolo Zardi, da fine conoscitore della natura umana, ci ha donato un dramma senza tempo gettato a capofitto nell’attualità. Riusciremo per una volta a imparare qualcosa, senza più ricadere sempre negli stessi errori?
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